La caffettiera dei desideri
La caffettiera dei desideri
La caffettiera era lì da sempre. Nera, graffiata, con il manico mezzo sciolto dal tempo. Non era bella, no. Ma nonna Teresa diceva che quella moka aveva un’anima. “Non è una caffettiera qualsiasi,” ripeteva, poggiandola sul fornello con la cura che si riserva a un oggetto sacro. “Questa esaudisce i desideri. Ma solo se la tratti bene.”
Lucia non ci credeva, ovviamente. Le sembrava una delle solite storie del Sud, quelle piene di superstizioni e silenzi. Eppure, ogni mattina, la nonna ripeteva lo stesso rituale: riempiva la caldaia con l’acqua “di ieri” – perché l’acqua del giorno prima portava fortuna – metteva il caffè con un cucchiaino d’argento e stringeva il filtro con un mezzo sorriso.
“Mai aprirla mentre sale,” sussurrava. “E mentre sale, pensa a un desiderio. Ma uno solo, e dev’essere puro.”
Una mattina d’estate, Lucia era da sola in casa. La nonna era uscita presto per il mercato. Così decise di provarci. Aprì la moka, seguì le istruzioni a memoria e accese il fuoco. Mentre il caffè borbottava, chiuse gli occhi e pensò forte a un desiderio: trovare il coraggio di partire, di scrivere, di diventare se stessa.
Non successe nulla di speciale. Nessun bagliore, nessuna voce. Solo il profumo del caffè che riempiva la cucina.
Passarono giorni, mesi. Un giorno Lucia partì davvero, con una valigia piena di sogni e una moka nella borsa. Quella moka. Ogni mattina, anche lontano, il primo gesto era sempre lo stesso. Preparare il caffè. Pensare a un desiderio. E aspettare in silenzio.
Perché, in fondo, la magia non sta nel caffè. Sta in chi ci crede abbastanza da sognare ogni giorno.
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