Quando scrivo "Ed poi è finita così". Piccoli errori e grandi domande: lapsus o distrazione?

L’altro giorno stavo scrivendo un post su Instagram. Una frase semplice, emotiva, quasi cinematografica:

“E poi è finita così.”

E invece ho scritto:

“Ed poi è finita così.”


Un errore banale, uno di quelli che chiamiamo “strafalcioni grammaticali” e che, a mente lucida, ci fanno sorridere. Ma mentre lo correggevo, ho pensato: e se non fosse solo una svista?


In psicoanalisi, questi piccoli inciampi hanno un nome: lapsus freudiani.


Freud e l’arte di inciampare nelle parole

Sigmund Freud, nel suo libro Psicopatologia della vita quotidiana (1901), ha reso celebri i lapsus come finestre sull’inconscio. Un errore di scrittura, una parola sbagliata, una dimenticanza improvvisa: nulla è casuale. Ogni “scivolone” linguistico può nascondere un pensiero rimosso, un desiderio represso, una verità che preme per venire a galla.


Così, per Freud, dimenticare un appuntamento importante non è solo distrazione, ma forse non volevamo davvero esserci. Sbagliare una parola può tradire un altro pensiero che ci attraversava in quel momento. E quell’“ed” in più nella mia frase? Chissà… forse c’era qualcosa che volevo unire, dire in più, o semplicemente un modo per non chiudere davvero.


Oggi i lapsus hanno ancora un significato?

La psicologia moderna è più prudente. Oggi si parla di errori cognitivi, interferenze linguistiche, sovraccarico mentale. Non tutto ciò che dimentichiamo o sbagliamo è simbolico. A volte è solo stanchezza, stress, o una parte del cervello che va in automatico mentre l’altra si perde nei pensieri.


Eppure, anche nella semplicità di un errore, qualcosa ci parla di noi. Non serve interpretare ogni sbadataggine, ma possiamo chiederci: dove ero con la testa mentre scrivevo? Cosa mi distraeva? A cosa stavo pensando davvero?


Errori, memoria, e un po’ di autoironia

Mi capita spesso di dimenticare cose, perdere oggetti, dire una parola per un’altra. A volte mi irrita. Altre volte, invece, mi viene da ridere e da riflettere. Perché in fondo siamo fatti così: un po’ razionali, un po’ sbadati, un po’ consci e un po’ misteriosi.


Scrivere “ed poi” non è la fine del mondo. Ma può essere l’inizio di una domanda, un piccolo indizio che ci ricorda che la mente ha strade tutte sue.



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