Stingiti a me - Gabriele D'Annunzio

Oggi, per caso (anche se non credo nel caso) mi è inciampata sotto gli occhi una poesia di Gabriele D'Annunzio, esattamente intitolata "Stringiti a me". Ho provato sempre amore odio per D'Annunzio, nel senso che le sue poesie mi sono sempre tanto piaciute, un po' meno la persona, o quel che di lui s'è raccontato.

Questo discorso vale per molti artisti. Quanta persona e quanto personaggio scoviamo nei grandi poeti, letterati, uomini e donne di ingegno non lo sapremo mai.

Una cosa invece posso dire di me che scrivo (anche se non sono famosa): nella mia scrittura c'è davvero tutto di me. Solo chi è dall'altra parte può carpire, togliere o aggiungere, può interpretare, può avvicinarsi, inebriarsi oppure l'esatto opposto.

Oggi ho le vele ammainate, sono una vagabonda nei pensieri e nel vento, sono un'anima bella (così mi hanno chiamata) e scorro le ore lentamente fermando qualsiasi tipo di nero. A meno che non si tratti del nero della notte alternata di stelle (e di tutte quelle cose che stanno bene con le stelle).


La poesia di Gabriele D'annunzio recita così:

Stringiti a me,

abbandonati a me,

sicura.

Io non ti mancherò

e tu non mi mancherai.


Troveremo,

troveremo la verità segreta

su cui il nostro amore

potrà riposare per sempre,

immutabile.


Non ti chiudere a me,

non soffrire sola,

non nascondermi il tuo tormento!


Parlami,

quando il cuore

ti si gonfia di pena.

Lasciami sperare

che io potrei consolarti.


Nulla sia taciuto fra noi

e nulla sia celato.

Oso ricordarti un patto

che tu medesima hai posto.


Parlami

e ti risponderò

sempre senza mentire.

Lascia che io ti aiuti,

poiché da te

mi viene tanto bene!


Breve analisi della poesia “Stringiti a me” di Gabriele D’Annunzio


C’è in questi versi una dolce insistenza, un desiderio carnale e spirituale insieme di prossimità.

Il soggetto che parla non chiede solo amore: chiede di essere abitato. Chiede che nulla venga nascosto, che ogni pena sia detta, che ogni pensiero venga condiviso senza filtri.


D’Annunzio — che troppo spesso si associa al culto della parola pomposa o della figura egocentrica — qui si mostra invece umano. Anzi, bisognoso. Sotto ogni invito («stringiti», «parlami», «non ti chiudere») c’è una richiesta d’aiuto reciproco.

Non c’è solo l’idea di un amore eterno («immutabile», come la verità che si cerca), ma la necessità di fondarlo su qualcosa che vada oltre il sentimento: il dialogo, la trasparenza, il coraggio di mostrarsi interi, fragili e veri.


Anche il ritmo aiuta questa tensione. I versi si spezzano, si rincorrono in un’ansia contenuta. L’uso della seconda persona diretta – "non soffrire", "lascia che io ti aiuti" – rende ogni frase una carezza urgente, come se chi scrive avesse paura che, se tace un attimo, l’altra persona possa scivolare via.


È una poesia che parla a chi ha amato, a chi ha avuto bisogno di essere scelto anche nella propria ombra.


E oggi, con le vele ammainate, mi ci sono trovata dentro.

Non per nostalgia, ma per quel bisogno di verità mutua che certe poesie – e certe persone – sanno risvegliare senza preavviso.


E un po' di Bossa Nova ci sta a pennello




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